Villa Farnesina

Edificata ai primi del Cinquecento per volere di Agostino Chigi, ricco banchiere di origine senese, la Villa Farnesina a Roma, di proprietà dell’Accademia Nazionale dei Lincei, è una delle più nobili e armoniose realizzazioni del Rinascimento italiano, un’opera in cui il progetto architettonico e la decorazione pittorica si fondono in un’unica, mirabile sintesi. Nella sobria articolazione volumetrica e spaziale della Villa, concepita dall’architetto Baldassarre Peruzzi, si inserisce infatti alla perfezione il ricco programma decorativo dell’interno, realizzato ad affresco da sommi maestri come Raffaello, Sebastiano del Piombo, Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma e lo stesso Peruzzi.


Risparmiata dalle turbinose vicende e dai numerosi passaggi di proprietà, la Villa reca oggi il nome e la memoria dei Farnese, a cui pervenne nel 1579 in violazione del vincolo ereditario posto dal suo committente. Ma in realtà essa dovrebbe invece essere intitolata ad Agostino Chigi, l’ambizioso mecenate e fine intenditore d’arte, nato a Siena nel 1466, che volle erigerla quale segno tangibile della propria personalità e cultura, facendola decorare con magnificenza e abitandovi fino alla morte, avvenuta nel 1520. Erede di una intraprendente dinastia di mercanti, passata poi all’attività bancaria, Agostino aveva ricevuto la sua formazione presso la banca paterna, entrando presto in contatto con lo Stato della Chiesa e le sue finanze e aprendo appena ventenne, a Roma, la sua prima società. La vera base della sua immensa ricchezza, tuttavia, furono i diritti di sfruttamento delle miniere di allume di Tolfa, presso Roma, di cui aveva il monopolio.


Prima di trasferirsi alla Farnesina, Agostino Chigi aveva vissuto in una casa in via dei Banchi con la giovane moglie Margherita Saracini, morta nel 1508 senza avergli dato figli. Poi aveva intrecciato una relazione con una cortigiana, Imperia, famosa per la sua bellezza e la sua cultura, che gli diede la figlia Lucrezia.


Ma già prima della morte della donna, avvenuta nel 1511, aveva cominciato a corteggiare Margherita Gonzaga, figlia naturale di Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, con la quale però non riuscì a concludere il matrimonio, nonostante avesse promesso di rinunciare ai suoi affari per superare la diffidenza della corte. Nel 1511, recatosi a Venezia per riscuotere alcuni debiti, vi conobbe una fanciulla di umili origini, Francesca Ordeaschi, e visse con lei “more uxorio” fino al 1519, quando nel giorno di sant’Agostino, forse presentendo la fine ormai prossima, volle regolarizzare la sua posizione con una solenne cerimonia di nozze e dettò le sue ultime volontà.


Il banchetto nuziale fu un evento memorabile, ma non meno fastosi, specie nei suoi ultimi anni di vita, erano stati altri conviti durante i quali Agostino Chigi aveva accolto nella sua nuova dimora le più insigni personalità del suo tempo, tra cui poeti, principi, cardinali e lo stesso pontefice. I cronisti dell’epoca ricordano per esempio che nel 1518, in occasione del battesimo del primogenito Lorenzo Leone, le suppellettili d’oro e d’argento usate per il banchetto vennero gettate nel Tevere in segno di munificenza, anche se pare che l’accorto banchiere avesse fatto stendere segretamente nel fiume delle reti recuperando così il prezioso vasellame.

Dopo l’acquisizione da parte del cardinale Alessandro Farnese il giovane, e la morte di suo nipote Odoardo, a cui era passata in eredità, la Villa fu abbandonata e venne ceduta occasionalmente a ospiti eccellenti come il cardinale Richelieu, il cardinale Federico di Assia-Darmstadt, la regina Cristina di Svezia e diversi ambasciatori di Luigi XIV. Nel 1735 l’edificio passò con l’eredità di Elisabetta Farnese a Carlo IV, re delle Due Sicilie, e divenne residenza di vari diplomatici napoletani finché Francesco II di Napoli, ritiratosi a Roma dopo l’abdicazione, concesse la Farnesina in enfiteusi per 99 anni all’ambasciatore di Spagna a Napoli, Salvador Bermudez de Castro, duca di Ripalta. Infine la Villa fu acquistata nel 1927 dallo Stato italiano che la destinò a sede dell’Accademia d’Italia e nel 1944 la diede in proprietà all’Accademia Nazionale dei Lincei, situata nell’antistante Palazzo Corsini.



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