Latronico

Latronico da Later-onicum, luogo ove si cerne e si pesta l’argilla del tegolaio, l’officina dove si fabbricano i mattoni, secondo Giacomo Racioppi.

Ritrovamenti archeologici (strati neolitici) testimoniano nelle grotte di Calda tracce (6000 a.C.) di un insediamento umano dedito alla vita agricolo-pastorale, ma la prima menzione di Latronico è in un documento del 1063, nel Syllabus Graecorum Membranarum.

Intorno al X secolo fu abitata da comunità di monaci basiliani che influenzarono molto la vita sociale e religiosa degli abitanti. Dominata dal sec. XI dagli Aragonesi, fu venduta come feudo nel 1457 da Alfonso d’Aragona ai signori di Noia  (l'odierna Noepoli) e successivamente ceduto ai Sanseverino, ai Palmieri, ai Ravaschieri, ai De Ponti ed infine ai Gesuiti che lo tennero fino al 1767, quando diventò città regia e passò alla Corona
Borbonica.

Nel 1799 aderì alla Repubblica partenopea e innalzò l’albero della libertà; partecipò abbastanza attivamente alle lotte risorgimentali. In epoca fascista si sfruttarono le sorgenti termominerali di Calda, acque conosciute già nei tempi preistorici, costruendo un moderno stabilimento termale che ancora oggi è attivo.

Latronico

Il  centro storico, anticamente costruito a ventaglio intorno al castello baronale (di cui oggi non rimane alcuna traccia) e alla chiesa di San Nicola, ha mantenuto la sua struttura originaria. È caratterizzato da un’architettura povera: le case addossate le une alle altre senza simmetria sono inserite in un complesso labirinto di stradine ripide, strette e tortuose e di vicoli, le carrare, che misurano la lunghezza di circa un metro.

Le gradinate, anticamente ciottolate, ora sono pavimentate con blocchi di pietra.

Solo Via Dante, anch’essa stretta, attraversa in tutta la lunghezza il centro storico: parte da Piazza Umberto I e giunge alla Chiesa Madre di Sant’Egidio. Su questa strada sono ubicati i palazzi più antichi e più belli di Latronico che mostrano i loro portali di marmo del Monte Alpi o in pietra locale. Da notare l’ex Palazzo gesuitico (detto impropriamente il palazzo ducale) che conserva il portale artisticamente lavorato con un fregio floreale e la data 1748 scolpiti in bassorilievo e il Palazzo Arcieri il cui portale fornito di stemma evidenzia la bizzarria ornamentale delle figure laterali, mentre le volute e una rosta di ferro creano un ritmo dinamico spezzato, secondo una ricerca di varietà, tipica dell’artigianato locale. Molto interessante è il cortile interno del palazzo.

Anche tra i vicoli s’incontrano edifici dotati di portali meravigliosamente scolpiti, opere di scalpellini locali appartenenti alla tradizione del luogo.

La Chiesa di San Nicola, del XII secolo, domina il centro storico. Si presenta con particolare porticato e torre campanaria quadrata. È a navata unica. Il presbiterio è su un piano rialzato. Custodisce sull’altare il dipinto ad olio del Settecento, restaurato nel 1852, della Madonna della Pietà di Simone Oliva, pittore di Tursi.

Vicino alla chiesa di San Nicola c’è il Largo Eleonora Pimentel, il punto più alto del paese, da dove si ha la possibilità di contemplare lo spettacolare paesaggio.
Sempre nel centro storico si trova la Chiesa di Sant’Egidio Abate, edificata su una già esistente, forse nel 1570 e in parte ricostruita bassa e con colonne enormi nel 1859, dopo i terremoti del 1837 e 1857. Fu proclamata Basilica Pontificia Minore da Papa Paolo VI, nel 1971. L’interno è a tre navate, divise da sei colonne con capitelli dorici. Sulle prime due colonne della navata centrale sono ubicate due acquasantiere, datate 1859, di marmo di Latronico realizzate da scalpellini locali.

Alle spalle di questa chiesa, all’inizio di Via Calvario, si trova la stele in pietra, eretta nel 1862 su cui sono visibili una meridiana e la frase: Ora ne te rapiat hora.

Nel rione Munistero, poiché si dice che in questo luogo esistesse tra il XVI e XVII secolo un antico cenobio di Padri Minori Osservanti, si trova  la Chiesa di Santa Maria delle Grazie. La semplice facciata mostra un portale del sec. XVIII. A navata unica, conserva sull’altare barocco la settecentesca statua lignea della Madonna delle Grazie. Da notare ancora l’affresco del Crocifisso del XVIII secolo.

Nella Contrada Calda si trova il Museo Civico Archeologico, che custodisce oggetti della preistoria e dell’età storica (VII-IV sec. a.C.) e il  Museo Civico delle arti, dei mestieri e della civiltà contadina.

Grotte di LatronicoLatronico e le sue grotte

Sul versante opposto rispetto a quello della Valle del Sarmento, quindi sui confini nord-ovest del Parco si trova, non lontano dal centro abitato di Latronico, un’alta grande attrazione per gli amanti della paleontologia e della speleologia. Si tratta della Grotta di Latronico con stalattiti e stalagmiti, al di sotto della quale si trovano altre piccole grotte sepolcrali che hanno ridato alla luce importanti reperti che testimoniano la presenza dell’uomo in questi luoghi dall’Eneolitico.

Latronico, paese di terme e acque sulfuree

Le virtù terapeutiche delle acque di Latronico molto probabilmente, erano note fin dalla Preistoria. Ricerche archeologiche condotte, infatti, a inizio Novecento hanno portato alla luce nelle grotte di Calda, proprio nei pressi delle sorgenti d’acqua, stipi votive che gli studiosi riconducono a riti sacri connessi al culto delle acque salutari. Ed è dall’epoca fascista, anche se le acque delle sorgenti termominerali di Calda erano rinomate già nel Settecento, che si è cominciato a sfruttare pienamente le loro proprietà a scopo terapeutico e turistico con l’apertura di strutture capaci di offire servizi e trattamenti specifici in questo ambito (info: www.termelucane.it). Le sorgenti sgorgano a 750 metri di quota e fuoriescono a una temperatura di 22 gradi centigradi alla fonte. Si tratta di acque mediominerali utilizzate anche per la balneofangoterapia.

Latronico e le sue sorgenti sorgono all’ombra del Monte Alpi (1900 metri) intorno al quale sono stati ritrovati molti fossili marini fra cui un pesce vela di quasi due metri e mezzo di lunghezza. Il monte offe, inoltre, giacimenti di pirite, marmo, quarzo, talco e alabastro bianco, quest’ultimo rinomato per la forte resistenza e levigatezza, noto anche come Marmo di Latronico.



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